Antefatto

Nel 1995 un mio amico storico, studioso della rivoluzione francese, riunì in un workshop un gruppo di persone, tutte di formazione culturale diversa (dal giurista all’antropologo, dal letterato allo psicanalista, dallo storico al fisico). Discutemmo per tre giorni, partendo da bozze di documenti che ciascuno di noi aveva preparato. Ci si lasciò con il compito di produrre, ciascuno di noi, il suo documento definitivo per pubblicare il tutto in un libro con gli atti del workshop.

Era quasi tutto pronto (almeno io gli avevo già inviato il mio contributo definitivo) quando, purtroppo, l’amico venne meno improvvisamente. Il mio articolo sparì con lui, ne dimenticai l’esistenza. Rimase nella pancia dei computer che ho cambiato negli anni fino a qualche giorno fa, quando, sempre per caso, cercando altro, mi trovo a rileggerlo. Lo rileggo, e trovo che è straordinariamente attuale, specialmente se si applica alla rivoluzione che dovrebbe avvenire per passare dalla nostra attuale a una società sostenibile. Per questo ho pensato di ripubblicare l’articolo tal quale l’avevo scritto allora, ma con l’aggiunta di un paragrafo dal titolo “La rivoluzione ecologica”.

Premessa

Alcuni anni fa, quando le ideologie erano ancora vive e non si lasciava che fosse solo il Papa a occuparsi dei paesi in via di sviluppo[*], era pure vivo fra gli intellettuali di sinistra il dibattito sulle tecnologie appropriate. In particolare il problema oggetto di attenzione era la definizione di tecnologia appropriata. Era un punto molto critico, dato che definire appropriata una tecnologia voleva dire che non si trattava, come negli altri casi, di uno strumento dell’imperialismo per sfruttare ulteriormente “I dannati della terra[†]”, ma di uno strumento grazie al quale di poteva innescare una rivoluzione pacifica del sistema socio-economico locale; una rivoluzione che, pur nel rispetto dei valori locali, facesse passare il paese da un sottosviluppo cronico a una dinamica evoluzione verso la conquista del benessere.

Definire appropriata una tecnologia poteva significare dare il via libera alla sua massiccia diffusione, con tutti i mezzi, usandola come focolaio di innesco di una auspicata reazione a catena che avrebbe acceso la rivoluzione, ovvero un ritorno ai tempi in cui gli indigeni erano in equilibrio con il loro ambiente e non conoscevano orrendi fenomeni quali la inurbazione, la monocoltura agricola, la schiavitù economica, il commercio delle armi; un ritorno a quel clima di pace e serenità, ma ad un livello di benessere fisico e spirituale migliore, grazie all’uso “appropriato” delle tecnologie e all’istruzione. Si voleva costruire un processo che guidasse il sistema sociale alla riconquista di ciò che di buono si pensava ci fosse stato nel passato, con una buona dose di valore aggiunto: come se la traiettoria della terra intorno al sole (il suo moto di rivoluzione) invece che svolgersi su un piano si svolgesse lungo una spirale tridimensionale, una molla: ad ogni “rivoluzione” si torna allo stesso punto, ma un po’ più in alto.

Le definizioni di tecnologia appropriata proposte furono moltissime, ma nessuna riusciva a cogliere per intero il ricco contenuto che si voleva dare, oppure presto si dimostrava sbagliata. Tecnologie che avevano avuto un grande successo in un luogo si rivelavano fallimentari in un altro; tecnologie che nello stesso luogo erano andate malissimo per anni, ad un certo momento decollavano come per magia, o al contrario. Nessuna regola sembrava potesse valere. Pochi anni fa, però, qualcuno coniò una definizione provocatoria che per alcuni di quelli che studiavano i processi di diffusione delle tecnologie nei paesi in via di sviluppo fu la base di un nuovo modo di affrontare il problema (Butera, 1990): si dice appropriata una tecnologia che, alla luce dei fatti, si è rivelata appropriata. Cioè l’appropriatezza di una tecnologia non è una qualità intrinseca, ma una qualità che si può rivelare solo in relazione al contesto (spaziale, temporale, culturale, economico, sociale…); non si può mai essere certi della appropriatezza a priori di una tecnologia, per quanto accurati siano gli studi e attente le valutazioni: si può solo parlare di probabilità che si riveli appropriata.

Che sia così anche per la rivoluzione? La definizione suonerebbe così: un evento sociale si definisce rivoluzione quando, alla luce dei fatti, si rivela una rivoluzione.

Da questa definizione, e facendo riferimento al mio bagaglio di conoscenze e riflessioni sulle mancate rivoluzioni tecnologiche nei paesi in via di sviluppo, intendo avviare il mio ragionamento; un ragionamento che si appoggia su concetti che provengono da discipline il cui linguaggio non è in genere familiare a chi si occupa di scienze umane e, per di più, si tratta di concetti relativamente nuovi anche nell’ambito delle scienze fisiche. Dovrò quindi dedicare un certo numero di pagine per costruire il supporto di conoscenza che mi permetterà di articolare il mio pensiero, e —soprattutto— di comunicarlo. Gli argomenti che vado a trattare sono:

1.   i processi di auto-organizzazione dei sistemi complessi

2.   il caos deterministico

Un po’ di pazienza e di attenzione, quindi, perché dovrò partire abbastanza da lontano per essere più chiaro.

Sistemi dissipativi e auto-organizzazione

Ricordiamo che l’entropia è una grandezza che misura la disorganizzazione di un sistema, intesa come indistinguibilità delle parti, uniformità. Più un sistema è composto di parti indistinguibili l’una dall’altra, più è equilibrato, più è simmetrico, maggiore è la sua uniformità, e maggiore è la sua entropia. I sistemi isolati[‡] tendono a raggiungere la massima entropia compatibile con le condizioni al contorno: l’universo, in quanto sistema isolato, tende al degrado.

Boltzmann riteneva che noi uomini abbiamo la sorte di vivere in una regione dell’universo nella quale una fluttuazione ci ha tenuto lontani dall’equilibrio e ci sta riportando ora verso esso con un contemporaneo aumento di entropia (Frazer, 1991). Sulla stessa lunghezza d’onda troviamo, parecchi decenni dopo, Monod, quando afferma che l’universo non stava per partorire la vita, né la biosfera l’uomo. Il nostro numero è uscito alla roulette: perché dunque non dovremmo avvertire l’eccezionalità della nostra condizione, proprio allo stesso modo di colui che ha appena vinto un miliardo? (Monod, 1970).

Boltzmann e Monod non erano i soli a considerare del tutto improbabile, unico, il caso di un luogo nell’universo in cui abbia avuto luogo un processo tanto complesso e lungo, tutto in contraddizione con la tendenza all’aumento dell’entropia, quale la formazione della biosfera. Non si capiva come potesse essere avvenuta l’evoluzione, il passaggio dal più semplice al più complesso, dal più simmetrico al meno simmetrico; come potesse essere stata vinta la tendenza dei sistemi a scivolare verso la configurazione più probabile, che è quella di massima uniformità.

Eppure, a ben guardare, i processi di auto-organizzazione, di diminuzione spontanea dell’entropia, di trasformazione strutturale da un livello più semplice a uno più complesso non sono poi così rari: bisogna essere capaci di riconoscerli. A riconoscerli e a studiarli fra i primi fu Ilya Prigogine, mostrando che alcuni tipi di sistemi termo­dinamici aperti, i sistemi dissipativi[§], quando sono lontani dall’equilibrio, posso­no dare luogo a processi di auto‑organizzazione spontanea per effetto di fluttuazioni casuali, deviazioni dalla norma, errori, cioè perturbazioni dello stato del sistema (Nicolis & Prigogine, 1971). Attraverso questi processi si è realizzata l’evoluzione: dalla formazione delle prime molecole proteiche alle unità biologiche mono e pluricellulari, all’uomo.

I sistemi dissipativi sono dei sistemi capaci non solo di auto‑organizzarsi, ma di reagire alle perturbazioni mantenendo la loro organizzazione, purché le perturbazioni stesse non superino certe soglie. L’entità di queste soglie, però, non è in alcun modo prevedibile a priori mediante una legge generale applicabile a tutti i sistemi; la soglia infatti dipende dallo stato in cui si trova il sistema nel momento in cui è soggetto alla perturba­zione —cioè dalla sua storia— e dallo stato dell’ambiente. Se la storia del sistema, cioè la sua risposta a tutta una serie di perturbazioni casuali, è stata tale da spingerlo verso una condizione di forte instabilità, allora può avvenire che una perturbazione anche di piccola entità —che in altre condizioni verrebbe facilmente assorbita— scateni una trasforma­zione di struttura e di organizzazione interna non prevedibile nella sua configurazione finale.

Il sistema, per mantenere la sua nuova organizzazione, più complessa, richiede più risorse all’ambiente: un flusso di neg-entropia (= entropia negativa, cioè materia organizzata o informazione) capace di compensare la maggiore produzione di entropia che deriva dalla sua cresciuta complessità. Quindi un processo di auto-organizzazione si può anche leggere come un processo di riconoscimento, da parte del sistema, di nuove risorse (neg-entropia) disponibili nell’ambiente: questo è avvenuto, per esempio, nel caso della rivoluzione industriale, che ha visto i sistemi sociali diventare capaci di riconoscere come risorsa ciò che prima non lo era: dal carbone a tutte quelle pietre che diventarono preziosi minerali e sostanze chimiche.

Questa nuova percezione dell’ambiente da parte del sistema comporta una trasformazione anche dell’ambiente (coevoluzione): aumenta il numero di interazioni e varia l’intensità di quelle pre-esistenti. Possiamo dire che si instaura un diverso dialogo fra sistema e ambiente: la comunicazione diventa più ricca sia in qualità che in quantità.

Certezze e incertezze

Un’intelligenza che, per un istante dato, potesse conoscere tutte le forze da cui la natura è animata, e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, e che inoltre fosse abbastanza grande da sottomettere questi dati all’analisi, abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei più grandi corpi dell’universo e quelli dell’atomo più leggero: nulla le risulterebbe incerto, l’avvenire come il passato sarebbe presente ai suoi occhi. Lo spirito umano offre, nella perfezione che ha saputo dare all’astronomia, una debole parvenza di questa intelligenza.

Questo scriveva Laplace nel 1776 (Rouelle, 1991), e questa convinzione ha permeato non solo la scienza e la tecnologia fino ai giorni nostri, ma anche la cultura occidentale nel suo insieme. Siamo stati sostenuti da una grande certezza: esiste la possibilità, sia pure teorica, di descrivere qualunque fenomeno; possiamo tanto prevedere che ricostruire l’evoluzione di un sistema, sia esso fisico, biologico o sociale: passato, presente e futuro stanno su una traiettoria univocamente definita. Non riusciamo a prevedere o a ricostruire? Vuol dire che abbiamo preso dati sbagliati o è sbagliata l’equazione che stiamo usando. Prima o poi la scienza risolverà il problema o perfezionerà il risultato.

Bisognerà aspettare l’inizio del secolo prima che le cose siano viste in modo diverso. Scrive Poincaré nel 1903 (Rouelle, 1991):

Una causa piccolissima che sfugga alla nostra attenzione determina un effetto considerevole che non possiamo mancare di vedere, e allora diciamo che l’effetto è dovuto al caso. Se conoscessimo esattamente le leggi della natura e la situazione dell’universo all’istante iniziale, potremmo prevedere esattamente la situazione dello stesso universo in un istante successivo. Ma se pure accadesse che le leggi naturali non avessero più alcun segreto per noi, anche in tal caso potremmo conoscere la situazione iniziale solo approssimativamente. Se questo ci permettesse di prevedere la situazione successiva con la stessa approssimazione, non ci occorrerebbe di più e dovremmo dire che il fenomeno è stato previsto, che è governato da leggi. Ma non sempre è così; può accadere che piccole differenze nelle condizioni iniziali ne producano di grandissime nei fenomeni finali. Un piccolo errore nelle prime produce un errore enorme nei secondi. La previsione diviene impossibile e si ha un fenomeno fortuito (grassetto mio).

Questa osservazione di Poincaré fu a lungo messa da parte, dimenticata. La cultura della certezza, della prevedibilità di tutti i fenomeni, continuò a trionfare e la distanza fra le scienze fisiche e le scienze umane aumentò sempre più, malgrado il fatto che probabilità e indeterminatezza fossero alla base della impalcatura su cui si stava costruendo la conoscenza della struttura della materia.

Poi vennero gli attrattori strani.

Gli attrattori strani

Essendo precipitata nel laghetto che si trovava al fondo della tana del coniglio, Alice improvvisamente si trovò presa in un violento gorgo che la sballottò in su, verso la superficie, e poi in giù, nel profondo, apparentemente in modo del tutto casuale. Quando finalmente poté aggrapparsi ad un ramo sporgente dalla riva, Alice udì vicino una voce sommessa, con un tono un po’ pedante.

“Ti rendi conto, naturalmente, che il tuo movimento non è veramente casuale,” disse il Coniglio Bianco. “Se questo fosse un processo puramente stocastico, dovresti potere andare a finire dovunque nel laghetto in qualsiasi momento.”

“E allora come lo chiami quello che mi è successo?” farfugliò Alice tirandosi sulla riva.

“Oh, questa è una manifestazione di caos,” replicò il Coniglio Bianco. “Sei finita in un attrattore strano nello spazio degli stati*. Piuttosto organizzato globalmente, ma localmente imprevedibile. Molto sensibile alle condizioni iniziali —potresti saltare dentro il gorgo quasi nello stesso punto quante volte vuoi, e ogni volta saresti trascinata quasi nella stessa traiettoria per un po’, ma presto non si potrebbe più dire dove andresti a finire.”

Alice finalmente si trovò al sicuro e, mentre sgocciolava, lanciò uno sguardo duro al Coniglio Bianco, che fece scattare il cronometro ma non fece una mossa per aiutarla. “Suppongo che stai per dirmi che questo è un qualche tipo di esperimento,” gli disse.

“Beh, questo è argomento di controversia. Vedi, per anni i matematici non avrebbero mai preso in considerazione la teoria del caos perché era emersa da esperimenti sui computer, e chi ha mai sentito parlare di matematica sperimentale? Da parte loro, i fisici l’hanno liquidata come una curiosità priva di rilievo.”

“Deve essere fisica,” dichiarò Alice. “Tu parli come il mio professore di fisica. Ma cosa sono quelle strane montagne?”.

“Quella è la zona dei frattali,” replicò il Coniglio Bianco. “Osserva cosa succede quando ci avviciniamo.”

Non appena Alice si avvicinò alle montagne, notò che erano fatte di carta ritagliata, con picchi frastagliati sempre più complessi man mano che la distanza diminuiva. Allora il Coniglio Bianco le passò una lente di ingrandimento, ed ella vide che anche i più piccoli dettagli riflettevano lo stesso andamento dei picchi più grandi.

“Ma che curioso!” Esclamò Alice.

“Dimensioni frattali,” mormorò il Coniglio Bianco, riprendendosi la sua lente di ingrandimento. “La linea delle montagne è infinitamente lunga perché è infinitamente dettagliata, anche se occupa un’area finita. Una dimensione frattale dice quanto è convoluta. La linea di queste particolari montagne è nota come curva di Koch ed ha una dimensione di 1.2618, o giù di lì”.

“Ma questo che cosa ha a che fare col caos?” chiese Alice.

“Perché, le dimensioni frattali sono la condizione sine qua non del caos,” schioccò le dita, un po’ petulante, il Coniglio Bianco. “Se disegni un attrattore strano nello spazio degli stati, avrà dimensioni frattali. Questo è ciò che impedisce che le traiettorie possano mai intersecarsi. I confini fra bacini di attrazione sono pure frattali. Alcuni sono piuttosto belli, fra l’altro —dai un’occhiata ai nostri insiemi di Mandelbrot laggiù, nel giardino”.

Alice stava perdendo rapidamente ogni interesse. “Ha niente a che fare tutto ciò col mondo reale?” domandò.

“Oh, sì,” replicò il Coniglio Bianco. “Ogni sistema non lineare può mostrare comportamento caotico. Prendi per esempio i sistemi sociali…”

Ma ad Alice cominciò a girare la testa e presto si svegliò sotto l’albero dove si era seduta.

“Devi aver sognato,” osservò sua madre. “Hai tutto il tempo mormorato molto caoticamente.”

“Oh, sì,” rispose Alice, “ho incontrato un coniglio bianco, e mi è sembrato del tutto non lineare.”

Figura 1 – Un insieme di Mandelbrot

Per capire meglio questa versione apocrifa (Douglas, 1992) dell’inizio di “Alice nel paese delle meraviglie”, occorre aggiungere alcune informazioni sui sistemi e sugli attrattori.

Abbiamo visto che esistono due categorie di sistemi: conservativi e dissipativi. Nello spazio degli stati i loro modi di comportamento sono rappresentati da figure geometriche dette attrattori.

Un sistema dinamico può essere esaminato in relazione al tipo di attrattore che ne rappresenta il comportamento. Esistono tre tipi principali di attrattori (fig. 2 e 3):

1)  l’attrattore periodico: il sistema oscilla periodicamente fra due o più posizioni; è il caso del pendolo ideale, senza attrito, per esempio, e l’attrattore è un cerchio, che viene percorso dalla coppia posizione-velocità nello spazio degli stati

2)  l’attrattore puntuale: il sistema tende ad una posizione di riposo, di equilibrio stabile; è il caso, per esempio, del pendolo reale, con attrito; l’attrattore è una spirale, percorsa dalla coppia posizione-velocità nello spazio degli stati

3)  l’attrattore caotico, o attrattore strano: il sistema non sembra tendere verso alcuna posizione di equilibrio, né si assesta su una traiettoria stabile.

Figura 2 – Attrattore periodico (sopra) e attrattore puntuale (sotto)

Nel terzo caso il comportamento caotico di un sistema è estremamente complesso e apparentemente del tutto casuale. La traiettoria disegnata è tale che nessun tratto si sovrappone ad uno precedentemente percorso; tuttavia spesso esiste una certa ricorrenza, e la traiettoria occupa un volume ben definito (che può essere multidimensionale) dello spazio degli stati: si ha allora un attrattore strano. Il sistema non ripete mai una traiettoria già percorsa, e tuttavia il suo comportamento si mantiene dentro ambiti spaziali definiti, all’interno dei quali è impossibile prevedere il dettaglio della sua evoluzione: il sistema è localmente imprevedibile ma globalmente stabile.

Tipico di questa categoria è l’attrattore di Lorenz (fig. 3), che rappresenta la traiettoria, nello spazio degli stati, della dinamica atmosferica. Le condizioni in cui si trova un punto (le condizioni meteorologiche di un dato luogo in un dato tempo) variano col tempo, anche molto, per esempio si passa dall’estate all’inverno (potrebbero essere le due ali della farfalla, nella figura 3), ma non è escluso che condizioni quasi estive possano verificarsi in inverno e viceversa, e si passi dall’una all’altra. Tuttavia, l’ambito di condizioni meteorologiche (lo spazio occupato dalla traiettoria) che possono verificarsi in un dato luogo non supera certi confini: ai tropici non ci sono ghiacciai e nell’artico non ci sono giungle lussureggianti.

Figura 3 – Attrattore di Lorenz

Un’altra caratteristica del comportamento caotico dei sistemi è la straordinaria sensibilità alle condizioni iniziali: traiettorie iniziate —per due sistemi identici— in punti infinitamente vicini nello spazio degli stati, dopo un certo tempo si sviluppano in modo completamente diverso*.

Il comportamento caotico è dominato dalla casualità deterministica. Si riferisce a serie temporali o a traiettorie che, sebbene siano l’effetto di una dinamica deterministica (non lineare), non possono essere calcolate da alcun algoritmo che sia anche un solo bit più breve di esse stesse e non possono essere previste da alcun algoritmo anche una sola unità di tempo prima che siano percorse (Nicolis, 1991). Dunque le serie temporali e le traiettorie caotiche sono incompressibili —sia nello spazio che nel tempo; il processore che le simula si riduce al livello di una fotocopiatrice: il processore non simula il processo caotico; si limita a mimarlo.

La traiettoria di un attrattore strano, dunque, rappresenta la vita di un sistema complesso, con tutta la sua varietà e tutte le sue fluttuazioni intorno a un punto di equilibrio stabile che non si raggiunge mai.

L’evoluzione degli ecosistemi

Processi di auto-organizzazione con passaggi da un attrattore all’altro sono stati riconosciuti nella evoluzione delle specie e degli ecosistemi. Nel caso degli ecosistemi, la loro dinamica evolutiva è stata rappresentata (Holling, 1991) come l’interazione sequenziale di quattro fasi (fig. 4):

1.  sfruttamento delle risorse riconosciute

2.  conservazione (accumulo di biomassa e consolidamento delle relazioni fra i componenti il sistema)

3.  distruzione creativa (intrusione di nuove specie non ancora integrate e generazione di conflitti locali i cui effetti si estendono a tutto il sistema)

4.  rinnovamento (stabilizzazione del sistema sulla nuova condizione, caratterizzata da un maggior numero di unità biologiche e da una maggiore capacità di sfruttamento delle risorse ambientali).

Figura 4 – Il ciclo degli ecosistemi

La progressione degli eventi è tale che queste funzioni dominano in tempi diversi: dallo sfruttamento lentamente alla conservazione, rapidamente alla distruzione creativa, rapidamente al rinnovamento, rapidamente di nuovo allo sfruttamento.

Anche in questo caso si può identificare un processo di auto-organizzazione che si manifesta attraverso il passaggio da un attrattore strano a un altro; il nuovo attrattore si trova in un altro spazio degli stati, più ricco di dimensioni, e il salto dall’uno all’altro avviene molto rapidamente, in un periodo di grande instabilità del sistema. Va notato che il periodo in cui massima è la instabilità è quello che segna il massimo del consolidamento del sistema, quando cioè questi sfrutta al massimo le risorse dell’ambiente, in rapporto agli strumenti di cui dispone e alle risorse disponibili. Dopo, quando si sarà dotato di nuovi strumenti, sarà capace di utilizzare più e meglio le risorse, ma la pressione sull’ambiente sarà meno critica.

La rivoluzione è evoluzione (societas facit saltus)

Se estendiamo il paradigma scientifico fin qui esposto ai sistemi sociali, possiamo tentare una analisi del fenomeno rivoluzione, intesa come processo di auto-organizzazione, cioè di salto di qualità verso una struttura più complessa e organizzata.

In generale, più un sistema sociale è primitivo, semplice, a bassa diversità, più regolare e prevedibile risulterà la traiettoria che ne descrive la vita e minore è il numero di dimensioni dello spazio delle fasi in cui viene tracciata, a parità di popolazione. Un sistema sociale dominato da una dittatura, per esempio, è caratterizzato da una traiettoria più regolare e più tendente a un punto di equilibrio stabile di quella di un sistema democratico, come più semplici e regolari sono le traiettorie dei sistemi ecologici della tundra o delle Alpi rispetto a quelli delle foreste pluviali e diverso è il numero delle dimensioni che ne caratterizzano i rispettivi spazi degli stati.

La variabilità, le incertezze che caratterizzano la traiettoria di un attrattore strano rappresentano le normali vicende, i conflitti, le turbolenze di un sistema sociale vivo e con buona probabilità di innescare processi di crescita e trasformazione verso livelli organizzativi più complessi e ricchi, sia in qualità che in quantità; la regolarità è segno di morte[**], di incapacità (impossibilità) di riconoscere risorse nell’ambiente, che viene percepito come difficile, ostile.

Su questa base, possiamo azzardare una prima definizione: si ha una rivoluzione quando si verificano le seguenti tre condizioni:

1.  la traiettoria descritta dal sistema sociale nello spazio degli stati, dopo avere percorso volute sempre più improbabili, fa un salto e si tuffa in un altro spazio degli stati;

2.  questo nuovo spazio presenta un numero maggiore di dimensioni ed è capace di contenere le traiettorie di sistemi più complessi, ad un più alto livello di organizzazione;

3.  la traiettoria in questo nuovo spazio si assesta su un attrattore strano.

Gli eventi che gli storici raccontano per descrivere il processo rivoluzionario, tutti causalmente concatenati quando visti dal futuro, nel nostro modello sono sintetizzati nelle diverse posizioni che il sistema occupa nello spazio degli stati, cioè dai punti della traiettoria che, appartenendo a un attrattore strano, non è in alcun modo prevedibile se non nel brevissimo termine, e mai con sicurezza.

Ci sono momenti in cui la traiettoria si trova di fronte a una biforcazione: se va in una direzione passa a un altro spazio degli stati, se va nell’altra rimane nel suo. Questo passaggio critico, questo salto potenziale è interamente governato dal caso. È un passaggio caratterizzato da una discontinuità, attraverso la quale l’improbabile si realizza; l’improbabilità locale trascina, in un processo tumultuoso di interazioni non lineari, tutto il sistema in uno stato improbabile, ad un più elevato livello di organizzazione.

Il passaggio può avvenire gradualmente: la traiettoria infila spazi degli stati con un numero di dimensioni crescente, in ciascuno si libra in convoluzioni e riparte per il successivo. Oppure ne attraversa numerosi tutti insieme, senza fermarsi in nessuno. In quest’ultimo caso la ricerca di un attrattore nel nuovo spazio, troppo nuovo, avviene con grande incertezza, con curve particolarmente strette e imprevedibili, cioè con forti turbolenze.

L’esistenza di moti turbolenti non implica necessariamente la rivoluzione; possono essere moti che comportano una temporanea modifica della traiettoria, una tendenza a uscire dal volume precedentemente occupato dall’attrattore. Questa uscita temporanea può portare alla ristabilizzazione mediante un altro attrattore in un volume diverso dello stesso spazio degli stati o a un salto verso un altro, con più o con meno dimensioni; in quest’ultimo caso non si ha una rivoluzione ma una involuzione. È il caso in cui si afferma una dittatura.

Può succedere che la rivoluzione si realizzi, ma per poco tempo (rivoluzione mancata); ciò avviene quando la traiettoria del sistema sociale si svolge per qualche tempo nel nuovo spazio degli stati, ma non riesce a stabilizzarsi su un attrattore, per ragioni interne o esterne (l’ambiente non fornisce le risorse necessarie per la stabilizzazione o il sistema non è capace di servirsene), in modo del tutto analogo a quanto è avvenuto e avviene nei processi di selezione delle specie e degli ecosistemi. Una rivoluzione mancata è una nuova specie che non si afferma.

Bello, ma a che serve? (La rivoluzione e l’ingegnere)

Ammettiamo che il modello descritto possa, in linea di principio, servire a riconoscere un evento sociale come rivoluzione. In linea di principio: e in pratica? Oppure: si può, con questo modello, provare a stabilire, con un ragionevole margine di errore, che un dato evento sociale in corso possa essere classificato come rivoluzione?

Vediamo. In sintesi, una rivoluzione riuscita si riconosce dai seguenti elementi:

a.  il sistema sociale nuovo è più complesso, cioè al suo interno sono nati nuovi sottosistemi che si sono interconnessi a quelli sopravvissuti; il numero di sottosistemi nuovi è maggiore di quelli estinti o in via di estinzione; la qualità globale è aumentata;

b.  il sistema sociale nuovo è più ricco di informazione ed ha acquistato nuove capacità di interagire con l’ambiente in cui è immerso, cioè è più attrezzato a riconoscere e a metabolizzare risorse.

Questi due elementi ci consentono di identificare i fattori quantitativi che fanno da indicatore dell’avvenuto salto qualitativo; essi sono:

1)  aumento del numero dei componenti

2)  esistenza di nuove interconnessioni fra componenti il sistema

3)  esistenza di nuove capacità di riconoscimento di risorse dell’ambiente.

Che a livello sociale si traducono in:

1)  aumento del numero e della qualità dei soggetti sociali

2)  nuove aggregazioni permanenti tra parti sociali, che migliorano l’efficienza del sistema nel suo complesso

3)  aumento del numero e della qualità delle relazioni fra il sistema sociale e il suo ambiente.

Per il primo criterio si può prendere a prestito un indicatore dall’ecologia: la diversità.

La diversità serve per valutare il grado di complessità (cioè di salute) di un sistema ecologico, e dipende dal numero delle specie diverse presenti nel territorio e dalla popolazione di ciascuna di esse; si può anche leggere come indicatore della ricchezza della comunicazione fra sistema e ambiente. Per applicare questo indicatore a un sistema sociale è stato proposto (Odum, 1970) di sostituire alle specie le professioni.

Per il secondo e il terzo si può utilizzare, con opportune modificazioni, un metodo che è stato sviluppato per verificare la sostenibilità e la probabilità di successo della introduzione di una nuova tecnica di coltivazione in un’isola (Barbera & Butera, 1992). Il metodo si basa sulla ipotesi che il numero e la intensità delle relazioni fra i componenti il sistema e di quelle che si esplicano fra i componenti il sistema e gli attori e i fattori che definiscono l’ambiente percepito siano valutabili in termini di comunicazione, utilizzando le regole della teoria dell’informazione.

La rivoluzione ecologica

Facendo riferimento a quanto detto nel paragrafo precedente, proviamo a verificare se la transizione dall’attuale sistema economico e culturale a quello coerente con lo sviluppo sostenibile può essere considerato una rivoluzione, o invece si tratta di un semplice adattamento. Esaminiamo gli elementi indicati uno per uno, facendo anche riferimento alla intrinseca complessità delle interazioni fra il sistema sociale, quello economico e quello ambientale, con quest’ultimo che contiene gli altri due (Butera 2021).

  • Aumento dei componenti, della diversità. In un sistema economico sostenibile non c’è posto per le fonti energetiche fossili: occorre che sia alimentato esclusivamente da fonti rinnovabili. Si passa quindi da una monocultura di fonte energetica e di tecnologie di conversione a una varietà di fonti e tecnologie di conversione. Inoltre è necessario introdurre, nel sistema energetico, nuove tecnologie, quelle relative all’accumulo. Un altro aumento di diversità, quella ecologica, ha luogo nel modello di sviluppo sostenibile, grazie alla trasformazione dalla agricoltura industriale all’agroecologia. Le pratiche agroecologiche, infatti presuppongono da una parte l’abbandono delle pratiche monocolturali nella produzione agricola e nell’allevamento, dall’altra la forte riduzione, possibilmente la completa eliminazione, dei fertilizzanti artificiali e dei pesticidi, grazie ad una accorta gestione di una incrementata diversità dei prodotti agricoli, il tutto sostenuto dalle tecniche e tecnologie dell’agricoltura di precisione, assistita dall’intelligenza artificiale. Tutto ciò ha un forte positivo impatto ambientale, perché riduce o azzera la perdita di biodiversità che affligge il modello di sviluppo attuale.
  • Esistenza di nuove interconnessioni fra componenti il sistema. Non basta diversificare e introdurre nuove tecnologie. Occorre che le tecnologie dell’accumulo siano connesse, nella loro modalità di funzionamento, con la dinamica di produzione delle fonti rinnovabili; dinamica che, a sua volta, dipende dalle condizioni climatiche e meteorologiche. Tutti questi fattori rendono il sistema energetico estremamente più complesso, diversificato, ricco di connessioni. Il che implica che debba anche essere molto più “intelligente”, e quindi governato da sistemi sofisticati di intelligenza artificiale. Anche il sistema di produzione agricola è più diversificato e interconnesso, e richiede maggiore intelligenza nella sua gestione. Si tratta certamente di un salto una condizione più evoluta.
  • Esistenza di nuove capacità di riconoscimento di risorse dell’ambiente. Non c’è dubbio che mentre prima il sole irradiava i tetti delle case e dei capannoni industriali, e il vento spazzava creste, valli, pianure e superficie marina, senza che il loro potenziale energetico venisse utilizzato, ora invece queste risorse vengono “riconosciute” come tali dal sistema energetico e metabolizzate. In più, a queste fonti si aggiungono i nuovi modi di utilizzare un’altra fonte prima sottovalutata: i rifiuti organici, sia liquidi (le acque reflue) sia solidi (quelli alimentari), che vengono trasformati in biogas e fertilizzante. Grazie alle pratiche agroecologiche, alla riduzione/eliminazione degli allevamenti intensivi e alla riduzione degli sprechi alimentari si libera una grandissima superficie coltivabile da destinare alla produzione di cibo per gli esseri umani invece che per gli animali, riconoscendo, di fatto, nuove risorse agricole prima non utilizzate al fine di garantire la sicurezza alimentare di tutti gli abitanti della terra.

Sul piano sociale, economico e culturale, ritroviamo una trasformazione/rivoluzione analoga, principalmente a seguito di un’altra trasformazione essenziale al fine di passare a un modello di sviluppo sostenibile: l’adozione dell’economia circolare. L’economia circolare si basa su un principio molto semplice: i prodotti devono essere progettati e realizzati in modo da avere il minimo di emissioni incorporate e da richiedere il minimo di materia da estrarre dall’ambiente; devono essere durevoli, riusabili, rigenerabili e infine riciclabili. L’idea, in sostanza, è che i prodotti devono restare nelle nostre case, nelle nostre città, il più possibile, e quando proprio non ce la fanno più, allora vanno riciclati, usando i materiali ricavati come materia prima per nuovi prodotti. E per mantenere questa circolarità dell’economia bisogna usare energia rinnovabile. La massimizzazione dell’uso di un prodotto è possibile solo se c’è chi lo ripara, c’è chi ne permette il riuso, c’è chi lo rigenera, c’è chi permette di scambiarlo, e chi lo noleggia; occorre che ci sia chi questi mestieri sa fare. E quindi, anche la diversità del sistema sociale, in termini di professionalità che si aggiungono a quelle esistenti, aumenta. Un’altra ricaduta dell’economia circolare è la necessità di creare sempre più forme di solidarietà reciproca, di connessioni dirette fra il singolo produttore (l’artigiano) e il suo cliente, e si rende pure necessario trasformare il sistema dei servizi urbani, che devono garantire la loro disponibilità il più possibile diffusa sul territorio urbano (servizi di prossimità), in modo da minimizzare la necessità dell’uso del mezzo motorizzato.

Il numero e la qualità delle relazioni aumenta, e un cambiamento rivoluzionario nella scala valori non può non avere luogo, per diverse ragioni. La sobrietà, da disvalore nella attuale società dei consumi, ridiventa un valore, come lo è stato per millenni. Il consumismo va abolito, e ciò si ottiene attraverso la sobrietà. La solidarietà diventa un vantaggio, percepibile, e indispensabile per garantire il funzionamento dell’economia circolare, come lo diventa la capacità di condivisione. Inoltre, occorre che alla competizione come motore dello sviluppo si sostituisca la concorrenza, perché la competizione è senza esclusione di colpi, mentre la concorrenza è una giusta gara governata da regole che mettono tutti nelle stesse condizioni. E poi c’è l’equità, a causa dello stretto legame fra disuguaglianza e impatto ambientale, al crescere della prima cresce anche il secondo; quindi l’equità diventa una necessità imprescindibile al fine di transitare dal modello di sviluppo attuale a quello sostenibile.

E tutto questo, non è forse una rivoluzione? Altro che transizione, è il passaggio da un attrattore strano all’altro, in uno spazio degli stati con più dimensioni. E, come la storia ci insegna, queste rivoluzioni sono osteggiate da chi dalle condizioni esistenti trae il massimo vantaggio. E così verifichiamo che i principali nemici della rivoluzione ecologica sono le grandi multinazionali, prima fra tutte quelle delle fonti fossili, ma non solo. Ci sono anche quelle della filiera agro-industriale, e quelle dell’automobile, per dirne solo alcune. Ma ci sono anche attori più piccoli, diffusi, che si oppongono, quelli che vivono di tutte quelle attività che sono legate al consumismo, per esempio. E poi c’è l’innata resistenza al cambiamento anche di chi dalla situazione attuale non trae particolari benefici, ma teme di perdere quelle piccole sicurezze di cui gode.

E così si scopre che la rivoluzione ecologica non è solo una rivoluzione tecnologica, come ci vogliono fare credere, ma è una rivoluzione culturale, molto più difficile. 

Riferimenti

Barbera G., Butera F. M., Diffusion of Innovative Agricultural Production Systems for Sustainable Development of Small Islands: a Methodological Approach Based on Science of Complexity, Environmental Management, Vol. 16, No. 5, sept-oct 1992

Butera F.M., The technological transplant, Solar & Wind Technology, Vol. 7, No. 4, 1990

Butera F.M., Affrontare la complessità – Per governare la transizione ecologica, Edizioni Ambiente, 2021

Douglas J., Seeking Order in Chaos, EPRI Journal, June 1992, con qualche adattamento

Fraser J. T., Il tempo: una presenza sconosciuta, Feltrinelli 1991

Goldberger, A. L., Is the Normal Heartbeat Chaotic or Homeostatic? Int. Union Physiol. Sci./Am. Physiol. Soc., Vol. 6, April 1991 –

Holling C. S., The resilience of terrestrial ecosystems: local surprise and global change, in:W. C. Clark and R. E. Munn (eds.), Sustainable development of biosphere, Cambridge University Press, 1991

Lotman J. M., La cultura e l’esplosione, Feltrinelli, 1993

Monod J., Il caso e la necessità, EST Mondadori, 1970

Nicolis G., Prigogine I ., Self-Organization in non-Equilibrium Systems, Wiley, 1971

Nicolis J. S., Chaos and Information processing, World Scientific, 1991

Odum H. T., Environment, Power and Society, Wiley, 1970

Ruelle D., Determinismo e predicibilità, in: Il Caos, le leggi dell’ordine, Le Scienze Ed., 1991


[*] Notare: frase scritta nel 1995, non oggi.

[†] È il titolo del libro di Frantz Fanon, scritto nel 1961, e pietra miliare della cultura politica di sinistra negli anni ’60 e dopo, per quanto riguarda il rapporto fra mondo occidentale e “Terzo Mondo”.  Nel libro prendeva corpo la straordinaria tensione tra l’urgenza di offrire una prospettiva politica alle lotte di liberazione del Terzo Mondo e l’approfondimento dell’analisi del sistema coloniale, di cui quest’opera rimane un eccezionale documento storico.

[‡] I sistemi termodinamici si distinguono in:

a) sistemi isolati (non scambiano né energia né materia con l’ambiente);

b) sistemi chiusi (scambiano solo energia con l’ambiente; per esempio la terra, che sostanzialmente riceve solo energia solare e cede energia nell’infrarosso);

c) sistemi aperti (scambiano energia e materia con l’ambiente; per esempio un sistema biologico, una città).

[§] Esistono due categorie di sistemi: conservativi (per esempio un pendolo ideale, senza attrito; una volta avviata l’oscillazione, non si arresta più) e dissipativi (pendolo reale, con attrito; le oscillazioni si vanno smorzando nel tempo, fino all’arresto completo). I sistemi dissipativi tendono a ristabilizzarsi a seguito di una qualunque perturbazione: sono asintoticamente stabili. Passando dai sistemi più semplici a quelli più complessi, troviamo che alla categoria di sistemi dissipativi appartengono anche i sistemi biologici: dalla cellula al bioma pluricellulare, all’ecosistema e —estrapolando— i sistemi sociali.

*Il Coniglio Bianco, nella sua supponenza, dà per scontato che Alice sappia che lo spazio degli stati (o spazio delle fasi) è lo spazio multidimensionale in cui l’evolversi di un sistema (la successione dei suoi stati) si può descrivere per mezzo di una traiettoria; nel caso di una particella libera di muoversi in uno spazio tridimensionale occorrono sei parametri per specificare il suo stato, dato che tanto la posizione che la velocità hanno componenti sui tre assi. Lo spazio degli stati corrispondente quindi deve avere sei dimensioni. In un sistema con n particelle occorrono sei numeri per specificare lo stato di ciascuna particella, quindi lo spazio degli stati deve avere n x 6 dimensioni. Se invece di particelle consideriamo uomini e al posto della posizione e della velocità prendiamo in esame parametri che caratterizzano i comportamenti, le cose naturalmente si complicano ma il modello di rappresentazione resta valido.

*Lorenz, per evidenziare questo aspetto degli attrattori strani applicato nel caso del sistema atmosfera, così intitolò il suo intervento di apertura alla riunione annuale dell’AAAS a Washington nel 1979: “Predictability: Does the Flap of a Butterfly’s Wing in Brazil Set Off a Tornado in Texas?” (Predicibilità: un battito d’ala di farfalla in Brasile può innescare un tornado in Texas?)

[**] Si è scoperto che l’attrattore strano generato dalla serie temporale della frequenza cardiaca è molto più esteso (più grandi variazioni della frequenza da un momento all’altro) di quello di una persona malata di cuore: il quest’ultimo caso l’attrattore è quasi puntuale, a indicare che la frequenza cardiaca è costante nel tempo (Goldberger,1991)