Premessa

La transizione ecologica non è solo un processo che vede impegnati ingegneri, fisici, biologi, ecologi, agronomi e contabili del profitto (loro preferiscono farsi chiamare economisti). Proprio no. È un processo che implica una profonda revisione culturale, dei valori, prima di tutto. È un processo che impegna anche etica, diritto, filosofia, storia, psicologia, letteratura, arte e tutte le espressioni della cultura umana.

Chi è stato causa del degrado ambientale in tutte le sue forme, dal riscaldamento globale alla perdita di biodiversità, unito all’arricchimento di pochi e all’impoverimento di molti, cerca di far passare l’idea che con qualche innovazione tecnologica la transizione si fa, con sempre le stesse regole del gioco, in modo che chi ha fatto il danno non solo non ne paga le conseguenze ma trae vantaggio.

Per realizzare la transizione ecologica occorre invece una svolta culturale, svolta che non può che avere luogo prima di tutto nelle aule scolastiche e in quelle universitarie.

Per le aule scolastiche fino all’anno scorso faceva i primi passi un piano del Ministero dell’Istruzione, il piano RiGenerazione scuola, che intendeva introdurre l’educazione ambientale non come una delle materie da studiare ma come filo culturale che si snodasse lungo tutto il curriculum scolastico, interconnettendosi con tutte le discipline insegnate. Poi è cambiato il governo e nulla più si sa.

Niente di simile era stato pensato per le università, il luogo in cui tutti i saperi confluiscono, e nel quale purtroppo si evolvono separati, alimentando il riduzionismo voluto da un modello economico e culturale che pretende un percorso formativo volto alla formazione di lavoratori pronti a inserirsi nel sistema produttivo, invece che esseri umani, persone.

Eppure, proprio dall’università può e deve venire il ribaltamento del paradigma imperante, governato dalla sacralità della massimizzazione del profitto, della produttività, e dal conseguente riduzionismo che ha portato alla dicotomia scienze fisiche-scienze umane. Una dicotomia che si dimostra incompatibile con la realizzazione degli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile approvati dall’ONU, che esplicitano l’interdipendenza fra temi ambientali, sociali, economici e istituzionali, sottolineando implicitamente che la problematica ambientale si deve e si può affrontare solo attraverso il dialogo fra i saperi.

Ma qualcosa si muove localmente, e dal sud viene una rimarchevole iniziativa: la creazione, all’Università di Palermo, di un “Centro di sostenibilità e transizione ecologica”, nel quale confluiscono docenti di tutte le discipline che vengono coinvolte nella attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Si tratta di una iniziativa che dovrebbe, se si vuole che la transizione ecologica abbia veramente luogo, essere replicata in ogni angolo del mondo, sia pure adattata volta per volta alla realtà locale.

Per questo ospitiamo l’intervento dell’ideatore di questa iniziativa, il prof. Maurizio Cellura, che ne delinea le principali caratteristiche.

Introduzione

Nel 2022, l’anno appena trascorso, la legge costituzionale n.1 ha previsto la riforma degli articoli 9 e 41 della nostra Costituzione, con il definitivo inserimento dell’ambiente tra i valori di rilievo costituzionale, che richiedono una protezione giuridica rinforzata e giustificano una più intensa regolamentazione delle attività economiche, pubbliche e private, per garantirne la piena compatibilità con le esigenze di conservazione delle matrici ambientali, della biodiversità, degli ecosistemi, anche nella prospettiva degli interessi e dei bisogni delle future generazioni, alla luce del principio dello sviluppo sostenibile.

Questo risultato straordinariamente significativo è stato raggiunto sette anni dopo l’adozione dei 17 obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda ONU, vero e proprio punto di svolta nell’impegno delle Nazioni Unite per la sostenibilità.

L’adozione dei suddetti 17 obiettivi ha di fatto rappresentato un ulteriore passaggio fondamentale per una gestione sostenibile delle risorse naturali senza pregiudizio dei bisogni delle generazioni future. Il conseguimento degli obiettivi è ispirato dai principi di interconnessione e indivisibilità dei “goal” e dal rispetto del paradigma “leave no one behind”.

I ritardi accumulati

Sul piano operativo e programmatico sono stati certamente fatti grandi passi avanti, ma che non devono nascondere un quadro complessivo nel quale l’indice di sostenibilità globale mostra chiaramente quanto siamo lontani dal traguardo. Nessuna nazione al mondo attualmente ha infatti raggiunto il 100% dei target degli obiettivi, con un quadro globale che mostra evidenti disparità tra le varie aree del pianeta, con le regioni d’Europa (77,1%) e del Nord America (76,2%) che rappresentano le punte più avanzate rispetto al raggiungimento degli obiettivi.

Il ruolo cruciale delle Università

In questo tempo di transizione nevralgico per il futuro del pianeta e della specie umana, per il quale saremo giudicati dalle generazioni future, le Università devono svolgere un ruolo prezioso e insostituibile attraverso l’applicazione dei cinque principi di Conoscenza, Apprendimento, Dimostrazione, Impatto e Cooperazione.

E’ fondamentale in tal senso che i ricercatori universitari siano percepiti dal territorio come figure chiave nel trasferimento di conoscenza in grado di dialogare efficacemente con le comunità per supportare processi decisionali scientificamente fondati, trasparenti e ripercorribili.

Il Centro di Sostenibilità e Transizione Ecologica dell’Università di Palermo

Ed è la piena consapevolezza della portata delle sfide indotte dalla transizione ecologica e del fondamentale ruolo svolto dalle Università che ha indotto la “governance” dell’Università di Palermo a istituire presso l’Ateneo il Centro di Sostenibilità e Transizione Ecologica (CSTE), che svolge un ruolo di catalizzatore delle iniziative sviluppate sul tema della sostenibilità e della transizione ecologica. Il Centro è costituito da un Consiglio Scientifico composto da oltre venti ricercatori dell’Ateneo, esperti nelle tematiche inerenti ai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, che sperimenta approcci interdisciplinari e trasversali, nei quali contenuti di cogente attualità, quali ad esempio il contrasto alle emergenze climatiche, sono coniugati ad altri temi come le pari opportunità, l’accesso all’istruzione,  la perdita di biodiversità, cogliendone gli aspetti sinergici e le potenzialità sistemiche. Il Centro opera in stretta cooperazione con la Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile (RUS), con la quale condivide esperienze di sostenibilità ambientale e responsabilità sociale.

Identificare le molteplici sinergie tra i differenti obiettivi rientra tra i principi guida dell’attività del CSTE, con azioni ispirate da sei parole chiave, cooperazione, complessità, interdisciplinarietà, internazionalizzazione nel contesto mediterraneo, orizzontalità, e sostenibilità stessa, investendo nel futuro dei più giovani e ispirandosi a principi di giustizia climatica.

Il contesto del Mediterraneo

Nel contesto del Mediterraneo, le attività di ricerca si stanno sviluppando in piena coerenza con quanto sancito dalla prima conferenza Ministeriale su Ricerca e Innovazione dell’Unione per il Mediterraneo (2022), che individua come aree prioritarie i Cambiamenti Climatici, la Salute e le Energie Rinnovabili e sottolinea il ruolo degli approcci “orizzontali” nella gestione delle crisi in atto.

In coerenza con il ruolo e la collocazione geografica dell’Università di Palermo, stiamo dedicando particolare attenzione al nesso “Water, Energy, Food and Ecosystems”.

L’area del Mediterraneo rappresenta infatti un’area geografica a forte valenza esemplificativa con riferimento al nesso anzidetto.

Dallo stato di implementazione nei Paesi del Mediterraneo dei 17 obiettivi di sostenibilità emerge inoltre una fortissima disparità tra le diverse zone, con performance migliori nell’Europa occidentale e valori inferiori in Europa Orientale, Nord Africa e Medio Oriente.

Tale disparità va colmata anche in un’ottica di giustizia climatica, evitando che i più poveri e coloro che hanno emesso minori quantità di gas climalteranti nei periodi precedenti siano adesso i più colpiti dai cambiamenti climatici in atto.

Ridurre l’impronta ambientale delle PMI del Sud d’Europa

Nell’ambito dello scenario Mediterraneo la riconversione “green” delle piccole e medie imprese (PMI) sarà cruciale non solo nel trasformare le filiere produttive per ridurre l’impronta ecologica di prodotti e servizi lungo l’intera catena di valore, ma anche per incardinare un’economia più competitiva in un nuovo modello di sviluppo, nel quale il ripensamento critico dei modelli globali possa anche favorire il “back reshoring” delle produzioni.

E’ una sfida di straordinaria portata, nell’ambito della quale le PMI del Mezzogiorno d’Europa potrebbero non disporre delle competenze e delle risorse necessarie per entrare compiutamente nel mercato dei consumatori verdi, nevralgico per assicurare una svolta eco-orientata, una marcata eco-innovazione e, in una prospettiva di medio periodo, la “carbon neutrality”.

In tal senso l’Università di Palermo ha avviato una forte cooperazione con le Associazioni di settore delle PMI tesa -tra le altre cose- alla diffusione di soluzioni produttive eco-innovative e sostenibili, all’impiego di metodi di valutazione e di riduzione dell’impronta ambientale e all’attuazione di pratiche di eco-design.

Ridurre i trasferimenti degli impatti ambientali da una zona all’altra del Pianeta

L’Università di Palermo dedica anche grande attenzione alle metodologie di stima degli impatti di “spill-over”, lungo le filiere e le catene di valore, per valutare il potenziale di riduzione dei trasferimenti degli impatti ambientali da una zona all’altra del Pianeta. In un sistema produttivo globale non basta divenire “isole verdi” se ciò si raggiunge esclusivamente grazie al trasferimento di catene di produzione in contesti extra-Europei. Ed in tal senso la stima dello spill-over delle proprie attività deve accompagnare fondamentali politiche di giustizia climatica, tema sul quale l’Università di Palermo sta lavorando alacremente grazie anche alle attività sinergiche del Centro Interdipartimentale (CIR) “Migrare” e del Centro di Sostenibilità e Transizione Ecologica. Coniugare le ambizioni climatiche con nuove catene di valore più eco-innovative ed eco-orientate può rappresentare una nuova occasione di sviluppo per le aree marginali, oltre che una solida ancora di salvezza per il pianeta.

Il Green Public Procurement nell’Università di Palermo

Ed è per corroborare le catene di valore sostenibili che si prevede di rafforzare un sistema di acquisti “ambientalmente preferibili” teso a migliorare l’impronta ambientale dell’organizzazione “Università”, accrescendo nel contempo le opportunità per le imprese pro-attive nel campo della sostenibilità ambientale. E’ questo uno dei passi fondamentali che si sta innescando, grazie soprattutto all’attivazione di un dialogo strutturato tra i diversi organismi tecnici e amministrativi dell’Ateneo, finalizzato al rafforzamento di una cultura della sostenibilità ambientale.

Unipa e la transizione energetica

Nel contesto anzidetto la sfida della transizione energetica risulta cruciale per raggiungere l’obiettivo dell’azzeramento di emissioni di carbonio entro il 2050. Anche l’Università di Palermo si propone di conseguire i target di abbattimento delle emissioni di CO2 del 55% entro il 2030 e del 100% entro il 2050, con investimenti per svariati milioni di Euro in efficientamento energetico, autoproduzione di energia da fonte rinnovabile e il ricorso alla Finanza di Progetto. In un contesto strategico che vede sempre di più la Sicilia come possibile hub energetico del Mediterraneo, pandemia e guerra Russo-Ucraina hanno mostrato la straordinaria importanza -tra le altre cose- di declinare localmente strategie di sviluppo e di “scale-up” tecnologico di filiere energetiche rinnovabili, coerenti con i principi di sicurezza energetica, resilienza e sostenibilità, e ciò vede in prima fila la nostra Università assieme alle altre Università, avvalendosi in tal senso del prezioso supporto finanziario del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e di altri fondi dell’Unione Europea.

I nuovi bisogni formativi “green”

Le imponenti previsioni di crescita occupazionale nel settore “green” necessitano nel contempo di una nuova offerta formativa in grado di rispondere agli originali bisogni di nuove figure consulenziali e professionali. Anche nella nostra Università è in corso un profondo ripensamento del modello formativo indotto dalla crisi ecologica del pianeta, un percorso nel quale, usando le parole di Morin, “si naviga in un oceano di incertezze attraverso arcipelaghi di certezze”, laddove il modello formativo deve aiutare il discente a cogliere appieno i nessi e le interazioni.

Consapevole di queste sfide l’Università di Palermo ha avviato numerosi ed originali percorsi formativi sulla transizione ecologica e sul nuovo concetto di “planetary health”, che comprende i principi di sostenibilità e di circolarità a salvaguardia dell”astronave terra” e dei suoi “passeggeri”.

La sostenibilità nel rafforzamento dell’obiettivo 16 “Pace, Giustizia e Istituzioni Forti”

Nella prospettiva dell’Agenda 2030 l’Università di Palermo prevede anche delle sperimentazioni nell’obiettivo 16 “Pace, Giustizia e Istituzioni Forti”. Per valorizzare questi aspetti si intende contribuire attivamente al percorso amministrativo che deve garantire il recupero sociale dei beni sottratti alle organizzazioni criminali, avviando un proficuo rapporto con l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

Una concreta speranza: i nostri giovani

Le sfide che ci attendono da qui al 2030 sono molteplici, e saranno ancor di più quelle degli anni a venire, mentre il tempo disponibile per affrontare la crisi climatica che incombe si restringe sempre di più. Ma molti sono gli elementi di speranza, e la crescente consapevolezza dei nostri giovani sulla complessità delle sfide e sulla urgente necessità di voltare pagina, tra tutte, è quella più foriera di speranza. A fronte di questa nuova consapevolezza alcuni dati dell’OCSE (OECD 2020) mostrano che una significativa percentuale di studenti si sente inadeguata a fronteggiare la portata delle sfide, e ciò anche a causa di informazioni inaccurate. E’ questo un punto cruciale su cui l’Università deve dare il meglio di se.

I giovani hanno aspirazioni che albergano a pieno titolo nel lontano 2050 decarbonizzato e tutte le strategie in grado di rafforzare la loro partecipazione e la loro formazione, nel pieno rispetto del loro diritto di equità intergenerazionale e delle aspirazioni di vivere su Gaia alla stregua di chi li ha preceduti, devono costituire un aspetto saliente nella definizione di azioni sostenibili a scala di comunità, ecosistemi e pianeta. Non solamente i cambiamenti climatici, ma povertà, diseguaglianze di genere, conflitti, migrazioni, prospettive occupazionali – per citare alcune tematiche tra le più rilevanti – è auspicabile facciano parte di una piattaforma di dialogo nella quale i giovani devono svolgere un ruolo attivo e propositivo per delineare il futuro che vogliamo.

E’ con questo spirito che l’Università di Palermo sta aderendo alla rete di giovani “University for SDG”, un network nazionale di giovani studenti universitari strutturato in poli territoriali che parte dall’assunto che la partecipazione dei giovani sia un elemento fondamentale per raggiungere una società più equa, inclusiva e sostenibile. Grazie anche alla collaborazione con la consulta del Rettore, è stata avviata localmente una piattaforma di dialogo con le associazioni studentesche, finalizzata – tra le altre cose – a replicare in Sicilia l’evento “Giovani e futuro: verso uno sviluppo sostenibile” che “University for SDG” ha organizzato lo scorso anno, iniziativa nata dalla volontà di instaurare una cooperazione costruttiva tra Istituzioni, Università, Aziende e Studenti.

L’iniziativa sarà strutturata in tavoli di lavoro su alcuni dei temi sottesi dai 17 obiettivi e vedrà la partecipazione ai tavoli di ricercatori e aziende pro-attive nel campo della sostenibilità, il tutto finalizzato alla redazione di un report di proposte e idee condivise che possa costituire l’agenda di alcune possibili cose da fare nell’immediato futuro, interconnesse e finalizzate alla pratica attuazione di una transizione “giusta”.

Lo scorso anno ho avuto il privilegio di partecipare ai lavori della prima edizione ed è stata una esperienza di confronto che mi ha particolarmente arricchito. Iniziando i lavori ci era stata richiesta una breve descrizione degli argomenti, dei problemi e delle opportunità connessi alle tematiche del tavolo di lavoro, ma già dalle prime battute di dialogo tra i presenti percepivo nitidamente un forte distacco da parte degli studenti, che perdurava durante lo sviluppo dei lavori. Al primo break chiesi ad alcuni di loro se la mia sensazione era fondata. Il candore della replica mi mise in difficoltà. “Ma professore, la vostra generazione pretende di raccontarci cosa dobbiamo fare dopo che avete generato la crisi planetaria che siamo chiamati ad affrontare?”. Superato lo smarrimento, al termine della pausa, aprimmo una discussione sulla opportunità – non più procrastinabile – di unirsi in uno sforzo corale per arrestare l’incendio della casa nella quale alberghiamo, senza tentennamenti, senza sterili contrapposizioni tra la generazione dei “baby boomer” e quella dei “Fridays for future”, perché non esiste un piano b, perché lo dobbiamo ai nostri giovani e alle generazioni future. Ed è quello che facciamo e che faremo assieme ai nostri ragazzi, alacremente e senza esitazioni.