“Il Buddha, il Divino, dimora nel circuito di un calcolatore o negli ingranaggi del cambio di una moto con lo stesso agio che in cima a una montagna o nei petali di un fiore.”

Robert Pirsig, “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”

Già da un po’ di tempo, un vasto pubblico italiano è stato introdotto al fenomeno dell’isola di calore e all’uso di alberi e prati per raffrescare le zone urbanizzate. Per esempio, un articolo uscito qualche settimana fa [1], cita uno studio in via di pubblicazione sulla prestigiosa rivista scientifica “Environmental Pollution” [2] ed afferma che la vegetazione, e gli alberi in particolare, potrebbero contribuire alla mitigazione dell’intensità del fenomeno con una riduzione della temperatura dell’aria nelle zone urbane del Regno Unito di un grado centigrado. Un altro studio, pubblicato sulla rivista “Energy and Buildings” [3] afferma che, nel caso del clima mediterraneo di Catania, l’ombreggiamento dovuto agli alberi potrebbe ridurre i consumi energetici di raffrescamento degli edifici di un valore compreso tra il 15 e il 40%  per la maggior parte delle configurazioni alberi-edifici possibili (distanza, numero di facciate ombreggiate, orientazione). Le conoscenze acquisite negli ultimi decenni sull’argomento costituiscono ormai una massa critica più che sufficiente per l’implementazione pratica delle raccomandazioni degli scienziati. La rivoluzione digitale aiuta: strategie di calcolo con intelligenza artificiale sono state usate nella realizzazione di modelli predittivi del comfort termo-igrometrico [4] e  delle necessità energetiche degli edifici [5], mentre sono attualmente in fase di sviluppo alcuni algoritmi [6] di machine learning che dovrebbero permettere di prevedere con un buon grado di approssimazione il risparmio energetico ottenibile per ogni caso di ombreggiamento in generale (forma dell’edificio, clima, data di costruzione, materiali utilizzati, posizione degli alberi, tipo di alberi, eccetera). Questi algoritmi potrebbero essere usati per disegnare strumenti di pianificazione urbanistica che faciliterebbero il computo dei benefici ottenibili attraverso l’infrastruttura verde.

Il periodo storico è anch’esso estremamente favorevole. La comparsa di nuovi movimenti politici, di indole progressista e ambientalista  apre la strada negli Stati Uniti per un green new deal [7] che promette trasformazioni cosí profonde da far annebbiare il ricordo del new deal degli anni trenta del secolo scorso. In Europa, d’altra parte, il cosiddetto “recovery fund” dovrebbe permettere l’uscita dalla crisi causata dalla Covid-19 con una svolta defintiva verso l’economia circolare e le tecnologie pulite. Sono queste alcune maniere di vedere la distruzione creativa [8,9] come l’opportunità per sostituire tecnologie contaminanti ed obsoleti modelli sociali con nuove proposte più evolute. La tecnologia di per sé non è infatti da temere, al contrario può essere il vettore decisivo per la transformazione.

In un recente viaggio in Giappone, mi sono trovato a presentare alcuni risultati delle mie ricerche ai colleghi locali. Quando ho toccato il tema della trasformazione tecnologia inserita nei sistemi di produzione attuali, criticando la riduzione di biomassa a favore della deposizione di “tecnomassa” generata dai processi di urbanizzazione [10,11], ho visto dinnanzi a me molte faccie stupite. Nella discussione a seguire, ho potuto capire come i giapponesi non concepiscano il dualismo tecnologia-natura come facciamo noi. Ci distanziano, in realtà, secoli di pensiero filosofico differente. Almeno da Nietzsche in poi, noi occidentali siamo abbastanza abituati a concepire la techne come una minaccia, un mostro di ingegneria sociale che sta distruggendo tutto il bello e omogenizzando tutto ciò che era differente. Anche Marx ci ha forse messo del suo, proponendo il concetto di natura a buon mercato sul quale poggerebbero le fondamenta di gran parte del sistema di produzione capitalistico. In Giappone, invece, la tecnologia non è percepita come malvagia. È neutra. Anzi, è uno strumento attraverso il quale mantenere la relazione dialettica uomo-natura che per loro non è mai davvero venuta meno. Le città giapponesi, che magari a prima vista sembrano molto simili alle metropoli degli Stati Uniti, offrono in realtà una sensazione alquanto differente. Il segreto forse sta nell’assunzione di comportamenti più rispettosi dell’ambiente, approfittando delle capacità tecnologiche disponibili, primo fra tutti, l’uso dei mezzi pubblici per gli spostamenti. Pochi veicoli (anzi, pochissimi se si pensa alla quantità di persone che vivono a Tokio o ad Osaka), parecchie biciclette, treni puntuali, frequenti e silenziosi, giardini che si alternano ai grattacieli, il verde incorporato nei centri commerciali [12].

Da una prospettiva occidentale, risulta importante inserire la riscoperta del valore della tecnica come arte, ricongiungendo quella polarità originaria rotta da secoli di positivismo e appropriazione indebita della natura. Nuovi comportamenti collettivi, alla fine, sono ciò che potrebbe permettere la “svolta” [13] di cui filosoficamente si occupò Heidegger, non a caso sotto certa influenza del pensiero moderno giapponese, in particolare quello di Kitaro Nishida e della “Scuola di Kyoto”.

Ecco quindi che le città forse non dovrebbero essere vissute con troppa preoccupazione di per sé, agognando un ritorno alla vita nei villaggi e nei borghi (possibile peraltro nel futuro immediato solamente per certe categorie privilegiate di popolazione, principalmente europee, e certamente non per le grandi masse di lavoratori informali delle megalopoli sudamericane). Le città, pur essendo il prodotto di logiche di investimento immobiliare e il simbolo di un’epoca di splendore capitalista ormai al tramonto, offrono comunque incredibili opportunità di incontri ed occasioni. Non a caso, i giovani cercano di andare a vivere a Londra, a New York, a Barcellona. In un’ intervista recente [14], Carlo Ratti ha raccontato di come i suoi studenti dell’MIT di Boston, appena possono, scappino a New York. E Boston non è certo un piccolo villaggio. Anche pensatori assolutamente rivoluzionari come l’architetto situazionista Constant, che propose alla fine degli anni `50 una “New Babylon” come paradigma del futuro abitare, consideravano le città come luoghi insostituibili per le azioni umane. Bisognerà però integrare la natura in esse, generando nuovi spazi tecnologico-naturali, dove realizzare appieno la nostra esistenza, al di là del puro paesaggismo visuale, incorporando anche le funzioni metaboliche più importanti, come la produzione di alimenti, il ciclo dell’acqua, la connessione con le zone rurali esterne attraverso corridoi ecologici. Bisognerà anche riflettere sulle relazioni presenti all’interno degli interi sistemi urbani, che sono il frutto degli sviluppi storici differenti dei vari continenti. La distribuzione degli abitanti in città medie e piccole in Europa, per esempio, non ha nulla a che vedere con quella dei paesi del sud del mondo, dove si salta dalle megalopoli ai villaggi molto piccoli, in più con limitazioni enormi in quanto ai servizi, primo tra essi un sistema di trasporto pubblico efficiente. Queste nuove città verdi, inserite in sistemi urbani funzionali, potrebbero non solo fornire servizi ecosistemici fondamentali per la nostra specie, ma anche evolvere esse stesse in direzioni, a tutt’oggi imprevedibili, che favoriscano l’aumento della diversità e la resilienza di tutto il pianeta.

[1]        https://www.repubblica.it/green-and-blue/2020/11/20/news/prati_e_alberi_contro_il_riscaldamento_globale_in_citta_funziona_ecco_la_prova-275136910/

[2]        Tiwari, A., Kumar, P., Kalaiarasan, G., Ottosen, B. (in press). The impacts of existing and hypothetical green infrastructure scenarios on urban heat island formation. Environmental Pollution, 115898. https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0269749120365878?via%3Dihub

[3]        Palme, M., Privitera, R., La Rosa, D. (2020). The shading effects of Green Infrastructure in private residential areas: Building Performance Simulation to support Urban Planning. Energy and Buildings 229, 110531. https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0378778820318697?dgcid=author

[4]        Ngarambe, J., Yun, G. Y., Santamouris, M. (2020). The use of artificial intelligence (AI) methods in the prediction of thermal comfort in buildings: energy implications of AI-based thermal comfort controls. Energy and Buildings 211

[5]        Karatasou, S., Santamouris, M., Geros, V. (2006). Modeling and predicting building’s energy use with artificial neural networks: Methods and results. Energy and Buildings 38 (8).

[6]        Palme, M., Carrasco, C. (submitted). Building Performance Simulation to support green urban planning: a machine learning approach. Building Simulation Conference 2021, Bruges, Belgium

[7]        https://www.nytimes.com/2019/02/21/climate/green-new-deal-questions-answers.html

[8]        Schumpter, J. (1942). Capitalism, Socialism and Democracy. Harper and Brothers

[9]        Batty, M. (2007). The creative destruction of cities. Environment and Planning B: Planning and Design 34, 2-5. https://journals.sagepub.com/doi/abs/10.1068/b3401ed

[10]      Elhacham, E., Ben-Uri, L., Grozovski, J., Bar-On, Y., Milo, R. (2020). Global human-made mass exceeds all living biomass. Nature 588, 442-444

[11]      Inostroza, L. (2014). Measuring urban ecosystem functions through ‘Technomass’—A novel indicator to assess urban metabolism. Ecological Indicators, 42, 10-19

[12]      https://inhabitat.com/japans-namba-parks-has-an-8-level-roof-garden-with-waterfalls/

[13]      Giurisatti, G. (2018). Il Tao del linguaggio. Tecnica, arte e meditazione in Martin Heidegger. Studi di estetica, anno XLVIII, IV serie, numero 1.

[14]      https://video.repubblica.it/green-and-blue/dossier/festival-green-and-blue/citta-futura-alla-ricerca-di-una-metropoli-ecosostenibile-dialogo-con-stefano-boeri-e-carlo-ratti/368581/369161