stralci di questo articolo sono stati ripresi da un’intervista comparsa su:

La Stampa, GIUSEPPE SALVAGGIULO,  23 Marzo 2020. Pagani (consolato italiano a Shanghai): “Guanti, mascherine, guardie e cibo. Così la vita in Cina si è adattata al virus”. L’addetto scientifico: «E’ una nuova normalità ma nasconde uno choc esistenziale»

Dopo tre mesi di blocco totale, a Shanghai occorre un’attenta organizzazione per uscire di casa. Quelli che un tempo erano automatismi – lavarsi, vestirsi, uscire – sono diventati passaggi operativi molto studiati. La mascherine, i guanti chirurgici, il gel antisettico, le salviette disinfettanti, il termometro, sono diventati elementi essenziali della dotazione quotidiana.

Tutti fanno le stesse identiche cose. E’ diventata la nuova normalità. E’ normale che tutti per strada abbiano la mascherina. E’ normale farsi controllare quattro volte al giorno la temperatura corpora. E’ normale viaggiare con il QR code che ti localizza nei percorsi e negli incontri quotidiani: è tutto giustificato dalla sicurezza sanitaria. Ma non c’è panico, è solo una questione di organizzazione e di abitudine alla nuova vita, senza concentrarsi troppo sui problemi.

Ricordo con un misto di nostalgia e stupore una conferenza ad Amsterdam nel mese di Ottobre 2019, nella quale si discuteva sull’evoluzione del paradigma energetico con una nuova visione: “Energy: enthusiasm and vision”.

I segnali dati in quella conferenza sono stati premonitori di ciò che ora è avvenuto.

Quando nel dibattito incominciarono a essere introdotte le tipiche argomentazioni: “occorre far penetrare l’informazione sulla sostenibilità, aumentare la comprensione della gente, occorre educare i decisori, aumentarne la consapevolezza”, ecco, fu allora che una giovane collega disse: “non ci serve più una visione di lungo termine, occorre una visione di breve termine: abbiamo solamente 9 anni per cambiare le cose”. E io proseguii con: “non è più il tempo della informazione e sensibilizzazione dei decision makers, lo si è fatto per troppi anni: occorre uno shock”.

Temo di essere stato preso in parola, quello che stiamo vivendo è un vero shock esistenziale. L’ho sperimentato in diretta, giorno per giorno, nelle mie quarantene a Shanghai. Ma nel mondo c’è ora chi lo sta sperimentando duramente, o drammaticamente.

E’ questo lo shock che paventavo?  No, è molto di più.

Le radici di ciò che sta avvenendo con il Coronavirus in Cina e, da alcune settimane, ben oltre i confini di questo paese-continente, non sono però disgiunte dalla “sostenibilità”, anzi le radici sono pienamente legate alla sostenibilità.

Noi umani abbiamo il difetto di dividere le cose. Dividiamo l’agricoltura dalla salute, l’energia dall’educazione, l’alimentazione dall’ambiente. Ogni disciplina è autoreferenziale e auto-riferita. Ci manca la capacità di associare e di vedere i legami profondi. Quante volte, nei nostri incontri tra esperti, abbiamo parlato della necessità di riunire diversi capitoli di bilancio, di uso dello spazio e del tempo, per razionalizzare il nostro sistema energetico e ambientale!

La crisi di questo virus e dei prossimi (occorre già pensare al prossimo…) ci indirizza su come vengano sfruttate, in modo insostenibile, le risorse naturali, la produzione alimentare, il ciclo del prodotto alimentare, in un meccanismo indisciplinato, caotico, mostruosamente irrazionale e aggressivo. La natura vincerà sempre, perché noi siamo irrilevanti per la natura.

Sarà un caso che, nell’arco di soli cinque mesi, l’Australia bruci per milioni di ettari senza controllo e la Cina e il mondo intero siano attaccati da un virus impossibile da sconfiggere? La risposta è NO.

Occorre uno shock”. Ma chissà se basterà uno shock. Ancora una volta vedo attorno a me letture compartimentate, politiche settoriali, del tipo: “occorre rapidamente un vaccino”, “occorrono misure di contenimento”. Assolutamente vero, nello specifico dell’emergenza.

In realtà, occorre far diventare la sostenibilità di tutte le attività umane il motore di un cambiamento epocale. Agire nel profondo, nel passare dallo sfruttamento alla cooperazione con i sistemi naturali, se vogliamo avere un futuro.

John Naisbitt, nel 1982, scriveva il suo Megatrend ritagliando articoli di giornale ed esplorando il futuro attraverso le principali notizie sulle dirompenti innovazioni. Emulando l’esercizio di Naisbitt, si trovano gli elementi per avvalorare la discontinuità prodotta dallo shock, per capire come lo shock cambierà il paradigma, come lo stia cambiando, come l’abbia già cambiato. Vediamo i diversi settori.

L’educazione si rigenera online

Tutte le università di Shanghai sono chiuse da Gennaio e tuttora non hanno comunicato le date di riapertura agli studenti. Analogamente tutte le scuole di ogni ordine e grado in Cina. Oggi è così anche in Italia e in Europa, negli Stati Uniti, nel mondo. Le università chiudono gli accessi, ma non chiudono le attività, erogano didattica in modalità remota, affrontano sessioni di laurea in video conferenza. La didattica virtuale è stata variamente sperimentata, ma non è mai entrata veramente in uso, se non sporadicamente. In fondo, ancora oggi, siamo ispirati al principio didattico della scuola peripatetica di Socrate, dove il “maestro” educava, camminando, una cerchia ristretta di allievi. Abbiamo moltiplicato per due ordini di grandezza gli allievi delle classi di Socrate e svolgiamo lezioni con aule di 300-400 studenti, senza porci il problema che, dopo quasi 2500 anni, questo tipo di didattica sia ormai superato. Occorreva uno shock per farcelo capire. Ora ci si accorge che avere classi di 100 allievi collegati su piattaforme di teleconferenza è efficiente; che svolgere sessioni di laurea in remoto è proficuo e divertente. Questo modello didattico è stato sperimentato da quasi tutti i docenti, con varie gradazioni di successo. Se diventerà prassi e se sostituirà almeno il 50% della didattica frontale si genereranno ingenti risparmi in termini di risorse (tempo, energia, qualità dell’aria) e saranno risparmi strutturali.

Una valutazione è possibile. In una grande città con 100.000 studenti universitari, tenendo conto di fattori di capacità e frequenze, circa 10.000 studenti eviteranno gli spostamenti per frequentare le lezioni, contribuendo a ridurre i picchi di traffico e l’affollamento dei mezzi pubblici nelle ore di punta. Certo manca la dimensione sociale, l’interazione tra i giovani che genera innovazione. Ma questa interazione non viene di certo annullata, la si porta semplicemente fuori dalla isolata e spesso monotona didattica frontale. La si concentra nella didattica interattiva, prolifica, quella dello scambio interpersonale, dei workshop e focus group. Ecco la discontinuità dello shock: siamo così convinti che questo modello verrà dismesso dalle università, dopo averlo attuato in scala tanto ampia in tutto il mondo, dopo aver messo a punto moduli formativi del tutto diversi dalla didattica tradizionale e dopo aver ritenuto questo modello efficace per la nuova formazione degli studenti?

Il lavoro si tele-trasforma

Qui a Shanghai le aziende hanno chiuso i battenti, ben prima e in modo ben più esteso rispetto alle zone rosse italiane. Certo l’economia non può funzionare se le aziende chiudono, ma alcune aziende hanno lavorato ugualmente. Sono aziende altamente automatizzate, nelle quali le componenti di gestione e servizio sono state condotte da casa. Si sono organizzati meeting virtuali, scambio di dati, discussioni su modelli di macchinari, interventi su processi produttivi da remoto. E’ ragionevole pensare che questi modelli operativi, più flessibili, meglio organizzati e non dettati da condizioni di emergenza, si impongano nel futuro a breve termine. Il telelavoro non è per nulla una novità, ma non lo si è mai praticato in modo così pervasivo. Il fattore di scala è sempre mancato e questo shock ha contribuito ad appurare che lo “scale-up” è possibile, se si ha una buona organizzazione.  Le fabbriche sono nate nella seconda metà del 1700, erano fuori dalla cerchia urbana perché utilizzavano massicciamente il carbone e inquinavano altrettanto massicciamente i dintorni. Già oggi, con produzioni più pulite, si è abbattuta la pianificazione urbana a comparti. Le nuove industrie possono essere mescolate ai tessuti urbani e possono alleggerirsi nel personale di controllo con la gestione remota dei macchinari, con una forza lavoro ridotta nel sito produttivo. Sperimentando lo shock, gli imprenditori hanno maturato nuove idee.

Il 3 febbraio per la Cina è stata un’esperienza surreale: per la prima volta si lavorava da casa per evitare il diffondersi del nuovo coronavirus. Molte grandi aziende, tra cui Tencent, JD.com, Suning, Huawei, hanno organizzato il tele-lavoro per tutti i loro dipendenti, per due settimane, successivamente ancora prorogate. Alcune città e province, tra cui Shanghai, hanno adottato misure simili, imponendo periodi di quarantena obbligatori durante i quali le persone hanno lavorato in remoto. Le società fornitrici di videoconferenze, come WeChat Work di Tencent, DingTalk di Alibaba e l’americana Zoom, sono state travolte da ondate di traffico, con molti utenti che si lamentavano di ritardi e interruzioni. DingTalk, che serve oltre 10 milioni di aziende in Cina e supporta videoconferenze con un massimo di 302 persone, ha annunciato quello stesso lunedì sera di aver registrato un picco storico nel traffico web e di aver assegnato 12.000 server aggiuntivi per aumentarne la capacità. Lo stesso giorno, il prezzo delle azioni di Zoom è aumentato del 15%. Nel corso dei giorni successivi sono messi a punto protocolli di verifica, scadenze e obiettivi da raggiungere in remoto, videoconferenze di aggiornamento e coordinamento.

La discontinuità dello shock: siamo così convinti che questo modello verrà dismesso dalle aziende, dopo averlo sperimentato e averlo ritenuto efficace per sé ed efficiente per i propri lavoratori?

I professionisti diffusi in rete

I professionisti sono la categoria che più facilmente lavora in ogni luogo, indipendentemente dalla contiguità fisica. La pratica della professione in remoto è stata la prima ad essere coltivata da un paio di decenni e avviene non solo tra colleghi di ufficio, ma mette in comunicazione professionisti in diversi continenti e in tutte le diverse discipline. Inutile, quasi, aprire un capitolo al riguardo. Nel corso dello shock, tuttavia, si è assistito ad una accelerazione, alla scomparsa dei normali schemi di lavoro: le modalità di comunicazione e le dinamiche di gruppo sono state interrotte, poi modificate con una chiara discontinuità. La crescente incertezza e ansia per i pericoli personali derivanti dall’epidemia e il suo impatto sull’economia ha reso ancora più grande la sfida di adattarsi a questi cambiamenti di lavoro. La transizione verso il tele-lavoro è una grande opportunità per i team professionali per rivedere le basi del lavoro e per ridefinire i ruoli individuali e il modo in cui ciascuna persona contribuisce al risultato. I protocolli adottati in alcune aziende professionali hanno chiarito i ruoli all’interno dei team, aiutando i professionisti a capire quando possano rivolgersi ai colleghi, invece che ai leader, evitando colli di bottiglia. Una sperimentazione efficace e molto estesa. Alcune case shanghainesi (ora anche italiane, europee, del mondo) si sono trasformate in webinarifici, moderni opifici in cui simultaneamente, ma separatamente, sono coinvolti genitori professionisti e figli studenti per la didattica quotidiana.

Siamo così convinti che questo modello decentrato di gestione delle professioni verrà dismesso dai team, dopo averlo non solo sperimentato, ma messo a punto nei ruoli e averlo ritenuto efficace individualmente e collettivamente?

Il boom dei servizi decentrati

Il capitolo dei servizi è naturalmente vasto e sfaccettato, ognuno peculiare. Tratteggio il servizio che si sta imponendo di più, a mio parere, nel corso dell’attuale shock. Qui a Shanghai il food delivery è la norma da molti anni. La gente non acquista quasi più nei supermarket, ma ordina su Taobao. Non importano i quantitativi. Taobao porta a casa nostra pacchetti monouso di minimo valore economico e dimensione. Attraverso le applicazioni Sherpa, si ordinano porzioni di pasto che vengono recapitate nei parchi della città, se si sta facendo un picnic. Gli sherpa ti rintracciano con l’APP di localizzazione wechat e ti consegnano il pacchetto monoporzione in mezzo al parco. Se il pasto è complesso, saranno un certo numero di sherpa a recapitare. I servizi di delivery, gli acquisti online, la logistica per raggiungere il cliente nel punto in cui si trova, nel momento in cui serve, deriva dalla formula industriale del “just in time”, con cui Toyota aveva innovato la produzione industriale negli anni 1970. Questi servizi, già prevalenti in un continente come la Cina, hanno avuto uno “scale-up” in Italia e in tutta Europa. Nella mezzanotte italiana, dopo l’annuncio del blocco dell’intero Paese, sembrava di assistere al famoso 11/11 cinese, con decine di migliaia di connessioni sui provider di Amazon, già dal minuto successivo alle 24, per prenotare generi alimentari porta-a-porta. Naturalmente il sito ha esaurito in pochi minuti gli slot di consegna, così altrettanto tutti i siti della distribuzione alimentare.Questa è la discontinuità dello shock: un metodo di acquisto, finora riservato a una minima parte di popolazione educata all’informatica, si estende alla pratica di un vasto numero di famiglie con vantaggi nella sfera ambientale e nell’uso del tempo.

Siamo sicuri che questo modello diffuso di acquisto online di generi alimentari verrà dismesso dalle famiglie, dopo che massicciamente lo hanno sperimentato, verificato nella vita di tutti i giorni e ritenuto più efficiente dell’andare tutti al supermercato il sabato pomeriggio?

Il superamento del trasporto ad alta intensità

Le compagnie aeree di tutto il mondo hanno ridotto la capacità e sospeso le rotte verso diversi paesi colpiti dal virus Covid-19, a partire dall’epicentro dell’epidemia, la Cina. Ora, mentre il virus si è diffuso in tutto il mondo, il contagio ha interessato le compagnie aeree in ogni regione, in particolare alcuni dei punti di transito tra i più trafficati.

Secondo la IATA, le restrizioni di viaggio comporteranno un taglio di 113 miliardi di dollari nei budget delle compagnie aeree per l’anno in corso, ma questa cifra sta rapidamente crescendo. L’industria mondiale del trasporto aereo deve affrontare sfide significative, a partire dal ridurre al minimo i sacrifici dei dipendenti. La maggior parte della flotta di terra coreana rimane a terra, si tratta di circa 100 aerei, inclusi tutti gli Airbus A380. La Cathay ha tagliato i propri voli del 65%, colpendo 29.000 dipendenti. La Lufthansa, dopo aver annunciato tagli significativi ai voli a causa della crescente gravità della pandemia di coronavirus, ha soppresso circa 23.000 voli dal suo programma di aprile e questo blocco continuerà.

Si direbbe un tracollo dei trasporti aerei, con la prospettiva di prossimi fallimenti di compagnie aeree, in particolare di quelle private. Forse, avranno più facilità a resistere le compagnie di bandiera, grazie a forti sovvenzioni.

Questa devastante situazione induce un cambio di modello, che è anche un cambio di paradigma. Siamo davvero sicuri che coloro i quali hanno sperimentato l’efficacia dei webinar, non una volta, ma una decina di volte al mese, si adatteranno nuovamente a prenotare aerei, hotel, a muoversi da una città all’altra, salire su taxi e gestire una logistica sconveniente per il medesimo risultato, o quasi? Siamo così certi che l’arte sia accessibile esclusivamente facendo lunghe code per entrare nei musei del mondo e girando per sale ad apprezzare le opere, contemporaneamente a molti altri che spesso ti precludono la stessa fruizione? Oppure, il modello decentrato di convegnistica, fruizione artistica e culturale, virtuale e con realtà aumentata taglierà per sempre una significativa quota di spostamenti aerei per il mondo? Non è esageratamente inutile e insostenibile l’attuale modello di vorticoso spostamento?

Se osserviamo il tema da un’altra prospettiva, la recente riduzione dell’inquinamento atmosferico in gran parte della Cina è direttamente collegata agli sforzi per controllare la diffusione del nuovo coronavirus. L’epidemia ha bloccato le produzioni industriali, ridotto i trasporti e ha interrotto in modo massiccio l’attività commerciale in tutto questo continente. Con meno fabbriche in funzione, meno automobili, veicoli pesanti sulle strade e aerei in volo, la qualità dell’aria è notevolmente migliorata e i cieli sono diventati più puliti. Secondo la NASA, i livelli di biossido di azoto in Cina sono diminuiti di oltre il 30 percento negli ultimi mesi.

Siamo davvero convinti che, dopo aver sperimentato i cieli blu e l’aria più respirabile, le ragioni della produzione detteranno la ricomparsa dei livelli di inquinamento del pre-Covid19? Forse le necessità di rimettere in moto la macchina produttiva farà accettare queste condizioni. Ma ci potrebbe essere un’altra via, quella di cercare di mantenere i livelli attuali di inquinamento, aumentando gradualmente la produzione in modo pulito. E’ la stessa logica per cui, dopo aver fatto una cura dimagrante, si ricomincia a mangiare regolarmente, ma si cerca di mantenere il peso forma.

L’alimentazione nel rispetto del mondo naturale e animale

Fino a qui, il modello non sembra molto diverso dal precedente. Più sostenibile? Una apparenza. Semplicemente più efficiente nelle modalità operative. Meno spostamenti, meno affollamenti, meno energia consumata, migliore uso degli spazi e dei tempi urbani.

Per capire come lo shock influenzerà il “modello prossimo venturo” occorre spostarsi su altri fronti e aggredire il grave problema del rapporto uomo/natura, in particolare uomo e mondo animale. Fino a che non riusciremo a far uscire dai soli comportamenti individuali la rivoluzione dei nostri rapporti con gli animali, ci saranno solamente leggere messe a punto del modello attuale.

Che cosa ha fatto capire lo shock? Il coronavirus è un effetto, non è la causa di una malattia pandemica. La malattia pandemica è lo sfruttamento della natura da parte dell’uomo, in particolare di quella parte di mondo naturale che riteniamo al nostro esclusivo servizio: gli animali utilizzati come cibo.

La Cina ha capito che il consumo di animali selvatici può essere all’origine del virus e ha già provveduto a vietarne il commercio. Eppure, questo commercio è alla base di una fiorente industria in Cina, calcolata per un valore di 7 miliardi di dollari equivalenti. Ci riuscirà, oppure nascerà un mercato parallelo illegale? E’ possibile che rimanga sotto traccia, ma il primo segnale del governo è stato immediato e forte: occorre chiudere.

Per ricondurre a ragionevolezza l’enorme dimensione di consumo di “animali da cibo”, non è sufficiente questo shock. I 12 milioni di maiali che ogni anno vengono “processati” nella sola città di Shanghai non sono debellabili, a meno di un enorme ripensamento. Eppure, è lo sfruttamento della natura da parte dell’uomo che ha generato questo virus e che ne genererà altri, devastanti e letali. La nostra rincorsa a trovare i rimedi a eventi catastrofici deve essere riletta in modo opposto. Occorre passare dall’atteggiamento re-attivo a quello pro-attivo.

I segnali ci sono. Quanto è diminuito il consumo di carni suine da gennaio a fine febbraio in Cina? Il maiale è un buon indicatore. La Rabobank ha riportato che la produzione cinese di carne suina nel 2019 sia diminuita di 5.459 milioni di tonnellate (14%), giungendo a circa 40,5 milioni di tonnellate e che nel 2020 si contrarrà per ulteriori 9.434 milioni di tonnellate (23%). Il governo ha cercato di stabilizzare i prezzi rilasciando centinaia di migliaia di tonnellate di carne di maiale congelata, ma nel frattempo sono diminuiti i consumi per una pari entità. (stime prodotte da Compeer, basate su dati USDA)

In parallelo, l’epidemia di coronavirus sta esacerbando l’eccesso di carne prodotta negli Stati Uniti, riempiendo i magazzini frigoriferi con carni di maiale, pollo e manzo, originariamente destinate all’esportazione verso i mercati colpiti dall’epidemia, che mai arriveranno a destinazione. Le quantità di pollo nelle celle frigorifere americane sono aumentate del 12%, quelle di maiale dell’11% nel primo mese dell’anno: il livello più alto mai registrato nel mese di gennaio, secondo il Dipartimento di Agricoltura degli Stati Uniti. I cinesi mangiano meno carne per via dell’epidemia? Oppure lo shock ha creato una discontinuità, che ha semplicemente accelerato il diverso modello alimentare?

Si mangia meno carne: è un dato di fatto.  Se questo trend si manterrà, diventando strutturale, sarà il tassello più importante del nuovo paradigma.

Verso un equilibrio globale

Così si intitolava un noto libro degli anni 1970, successivo al più famoso “Limiti dello Sviluppo”. Sarà sufficiente questo shock per modificare modelli di vita, far percepire l’insostenibilità degli umani sul pianeta? Il coronavirus è un effetto, la causa è l’insostenibilità. I dilemmi di una ormai totale globalizzazione sono stati messi a nudo dallo shock. C’è un indispensabile bisogno di resilienza dei sistemi locali, di catene corte, di maggiore autosufficienza energetica e alimentare, di decentrare le produzioni essenziali. Sono necessari piani di sicurezza e contingentamento che possano funzionare a scala continentale, ma al tempo stesso a quella di Paese e locale. L’elenco dei ruoli da rivedere sarebbe molto lungo.

Nel momento in cui scrivo, la percezione del futuro è deformata dagli eventi e si è conformata a questi, per cui nulla è come lo scorso anno. Oggi è semplicemente diverso.