“Il 65% dei ragazzi che frequentano le elementari faranno un lavoro che deve essere ancora inventato” si legge in un rapporto del World Economic Forum del 2016.  Anche se è difficile risalire alla fonte originaria di questa valutazione, attribuita impropriamente ad un rapporto del 1999 del Department of Labor statunitense, il messaggio di fondo è condivisibile. Basti dire che molte società delle rinnovabili, della mobilità e dell’informatica, da Jinko Solar a Tesla, da Google a Facebook, non esistevano all’inizio di questo millennio.

L’altra faccia della medaglia è data dalla progressiva sostituzione di una molteplicità di lavori da parte di sistemi “intelligenti”. Se finora le nuove opportunità hanno spesso compensato i tagli, il futuro delle tecnologie digitali porterà alla sparizione di un tale numero di posti di lavoro, dal commercio al mondo bancario, dal trasporto all’industria, da comportare un saldo netto negativo.

Questo duplice segnale – grandi opportunità e al tempo forti rischi – impone una seria riflessione sulla formazione, sulle aspettative dei giovani, sul modo di operare delle imprese.

Chi avrà maggiori possibilità di salvare il posto o di trovare la propria strada? Chi avrà sviluppato doti di fantasia, creatività, originalità più difficilmente sostituibili da un robot. Che si tratti di un cuoco, di un sarto, di un artigiano. Ma anche di giovani impegnati nel lancio di start-up digitali, nell’esplorazione di nuove forme di turismo, nella riscoperta di pratiche agricole di qualità.

Uno scenario tanto più vero nelle realtà a forte disoccupazione del Sud Italia.

In un mondo in rapidissima evoluzione occorre proporre un approccio didattico realmente interdisciplinare in grado di intercettare le novità. Va favorita una visione sistemica della realtà, liberando immaginazione e creatività, incoraggiando lo spirito critico. E si deve sollecitare la capacità di connettere mondi diversi sottolineata dal nome stesso di questo sito.

Una delle richieste iniziali del movimento del ’68 riguardava proprio la rimessa in discussione della didattica tradizionale. Durante le occupazioni fiorivano i seminari sulle tematiche più disparate. Ad ingegneria si discuteva di inquinamento come di America Latina, si criticava il modello di lavoro in fabbrica e si organizzavano spettacoli. Si analizzavano i legami tra processi produttivi, media e consumismo.

La capacità di connettere saperi diversi è tanto più importante oggi, in una società sempre più digitale che impone una trasversalità delle conoscenze.   Un approccio fatto proprio da alcune realtà didattiche, ma che non è purtroppo l’impostazione prevalente.

Anche perché non è un esercizio banale e richiede un forte coinvolgimento del corpo docente. La stessa rivisitazione delle strategie tradizionali vale per le imprese che, mai come in questa fase, devono affrontare il rischio di venire spiazzate e valutare nuove opportunità.

Facciamo due esempi di realtà nelle quali si sono sperimentate formule nuove.

Quando nel 2003 al Politecnico di Milano venne lanciato il Master Ridef (Rinnovabili, Decentramento, Efficienza) c’era la consapevolezza della radicalità dei cambiamenti che si profilavano nel sistema energetico. L’ambizione dunque era quella di interagire con ingegneri, economisti e laureati in materie umanistiche attraverso un approccio che consentisse loro di acquisire gli strumenti e la mentalità necessari per contribuire alla transizione che si stava aprendo. Un risultato ottenibile abbinando a tenacia e competenza, anche la capacità di connettere, astrarre, cogliere indizi, individuare rischi, rimettere in discussione approcci consolidati.

Un cambio di passo che riguarda anche le aziende, se non vogliono fare la fine della Kodak o di Blockbuster.

Interessante, in questo senso, è il cambio radicale di strategia dell’Enel che, avendo deciso di puntare su rinnovabili, mobilità e soluzioni smart, ha introdotto aria nuova nell’azienda, facendosi contaminare da realtà stimolanti provenienti da tutto il mondo.

Andare controcorrente, sapere intuire le novità era una caratteristica che se era importante in passato, oggi è vitale.

L’elaborazione di idee originali, il gusto per le “posizioni non allineate” erano elementi distintivi di Marcello Colitti, uno dei principali collaboratori di Enrico Mattei. Ricordo il racconto del modo inusuale con cui nell’immediato dopoguerra era stato assunto all’Eni. Malgrado il suo compito scritto fosse stato scartato dalla commissione, qualche settimana dopo venne convocato direttamente da Mattei, che dopo un colloquio l’assunse.  Erano state proprio le frasi sottolineate in rosso e blu perché fuori luogo ad aver colpito Mattei per la loro originalità e lo spirito critico.

Oggi, lo sappiamo, dobbiamo contare sempre di più sulle nostre forze, sul nostro spirito critico, sulle capacità di reinventarci. I modelli che venivano proposti in passato annaspano. Ma nuove opportunità si aprono. Pensiamo, ad esempio, alle grandi sfide ambientali – dal clima all’economia circolare – che aprono varchi affascinanti, che sollecitano la ricerca di connessioni utili a “chiudere il cerchio” dei flussi energetici e di materia nelle imprese, nelle città e nel territorio. Appunto, come dice il nome del blog: sviluppiamo la capacità di connettere.